TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA Il giudice, dott. Marco Tornatore, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 24 gennaio 2017, ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, di rimessione alla Corte costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 1, del codice penale nella parte in cui, sotto la rubrica «Deturpamento e imbrattamento di cose altrui» prevede che «Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'art. 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui e' punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103», anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila, prevista dall'art. 4, comma 1 del decreto legislativo n. 7/2016 nei confronti di colui che «distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale». Ritenuto in fatto La questione di legittimita' costituzionale e' rilevata d'ufficio nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Aosta in data 29 aprile 2016, n. 108, nel procedimento a carico di Daldossi Andrea, nato a Seriate (BG) il 28 settembre 1981, residente in Torre Bordone (BG), via L. Da Vinci n. 3, e Comuniac Alice, nata a Novara il 9 maggio 1977, residente in Galliate (NO), v.le Beato Quagliotti n. 49, difesi entrambi dall'avv. Maria Giovanna Fadda del foro di Novara, imputati «del reato di cui agli artt. 110, 81, 594, 639 c.p., perche' in concorso tra loro, imbrattavano l'autovettura di Amato Giorgio e ne offendevano l'onore ed il decoro con atti di carattere dispregiativo, quali sputi e imbrattamenti della sua autovettura. In particolare, gli imputati sputavano ripetutamente sul parabrezza dell'auto lasciando evidenti segni di saliva lungo il vetro, appendevano al tergicristallo del lunotto posteriore un assorbente igienico usato e imbrattavano di sostanza rossa, presumibilmente sangue, le maniglie delle portiere anteriori e il vetro della portiera anteriore destra. Fatti commessi in Sarre il 27 settembre 2009». Nel procedimento e' parte civile costituita Amato Giorgio, nato ad Aosta il 20 gennaio 1966, ivi residente in via delle Regioni n. 3, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Benini del foro di Ravenna. Con la sentenza n. 108/16, emessa il 29 aprile 2016 e depositata il successivo 13 maggio 2016, il Giudice di Pace di Aosta assolveva i due imputati dal reato di cui all'art. 594 c.p. perche' il fatto non era piu' previsto dalla legge come reato, per sopravvenuta depenalizzazione a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 7/2016, e li condannava alla pena di euro 103 di multa ciascuno in relazione al concorrente reato di cui all'art. 639, comma 1 c.p., oltre al pagamento in favore della costituita parte civile di una provvisionale liquidata in euro 1.500. Daldossi Andrea e Comuniac Alice proponevano appello avverso la sentenza di primo grado, articolando tre motivi concernenti: 1. l'errore del primo giudice nell'avere pronunciato condanna per un delitto procedibile a querela, pur in assenza della querela proposta dalla persona offesa nei confronti degli imputati; 2. l'erronea valutazione delle prove acquisite nel corso del giudizio di primo grado, che avrebbe condotto all'ingiusta condanna dei due appellanti; 3. l'eccessivita' del danno liquidato a titolo di provvisionale, in rapporto alla reale entita' degli imbrattamenti dell'autovettura. Dopo la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, nella Gazzetta Ufficiale del 22 giugno 2016, n. 25, della 1ª Serie speciale, veniva pubblicata l'ordinanza del 26 aprile 2016 emessa dal Tribunale di Milano (R. Ord. n. 120), con la quale il giudice remittente sollevava in riferimento all'art. 3 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 2 c.p. nella parte in cui prevede che se il fatto e' commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica, anche quando non vi e' stata violenza alla persona o minaccia ovvero quando il fatto non e' stato commesso in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 c.p., la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila. All'udienza del 24 gennaio 2017, il Giudice monocratico del Tribunale di Aosta, in funzione di giudice di appello, rilevata la pendenza della citata questione di costituzionalita', si riservava di sollevare d'ufficio autonoma questione di costituzionalita' dell'art. 639, comma 1 c.p. Considerato in diritto 1. Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nel giudizio penale. E' rilevante la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 1 c.p. nel giudizio penale in corso, in quanto, ove la disposizione citata non venisse dichiarata incostituzionale per le ragioni che verranno esposte tra breve, il giudice di appello potrebbe essere tenuto a confermare la sentenza di primo grado, proprio in relazione al reato della cui costituzionalita' il medesimo giudice di appello dubita, con conseguente affermazione della responsabilita' penale e civile degli imputati. La questione non puo' essere risolta in via interpretativa pronunciando una sentenza di assoluzione perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato. Infatti, in assenza di una disposizione che sancisca l'abrogazione espressa dell'art. 639 c.p., non e' consentito pervenire ugualmente all'abrogazione di tale norma argomentando sulla base delle novita' legislative che hanno inciso sull'art. 635 c.p. Neppure ricorrono i presupposti (incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti o introduzione di una nuova legge che regoli l'intera materia gia' disciplinata dalla legge anteriore) per affermare che vi sia stata la tacita abrogazione dell'art. 639 c.p., quanto meno in relazione al comma 1. 2. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Va premesso che la presente questione di costituzionalita' segue un percorso argomentativo analogo a quello proposto nella gia' citata ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 26 aprile 2016. I medesimi profili d'incostituzionalita' prospettati dal primo giudice remittente in relazione al reato di cui all'art. 639, comma 2 c.p. valgono, per le ragioni che verranno esposte tra breve, anche in rapporto alle previsioni dell'art. 639, comma 1 c.p., non rilevanti nel giudizio in corso dinanzi al Tribunale di Milano. Tanto doverosamente premesso, si osserva che nel testo del codice penale in vigore in epoca antecedente alle modifiche introdotte dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, la tutela penale della proprieta', sotto il particolare aspetto della tutela dell'integrita' della cosa nella sua sostanza o nella sua utilizzabilita' rispetto alle aggressioni provenienti da terzi, trovava sede negli articoli 635 («danneggiamento») e 639 («deturpamento e imbrattamento di cose altrui») c.p. Il quadro normativo originario affidava interamente allo strumento penale la repressione delle condotte direttamente aggressive del patrimonio ed era articolato nelle due fattispecie principali sopra indicate, poste in rapporto di sussidiarieta' tra loro, ed era arricchito da un nutrito corredo di circostanze aggravanti che scandivano in senso ascendente la progressiva risposta sanzionatoria dell'ordinamento in presenza di aggressioni reputate dal legislatore di maggiore gravita'. Il sistema poteva essere cosi' riassunto: 1. chi, senza esercitare violenza alla persona o minaccia, danneggiava cose mobili o immobili altrui era punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 309 euro (art. 635, comma 1); 2. chi, esercitando violenza o minaccia alla persona o in presenza delle ulteriori circostanze aggravanti previste dall'art. 635, comma 2 c.p., danneggiava cose mobili o immobili altrui era punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 635, comma 2); 3. chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpava o imbrattava cose mobili altrui era punito con la multa fino a 103 euro (art. 639, comma 1); 4. chi, fuori dai casi previsti dall' art. 635, deturpava o imbrattava beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati era punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da 300 a 1.000 euro (art. 639, comma 2). L'art. 2, n. 1, lettera l), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 («disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'art. 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67») ha circoscritto la rilevanza penale della condotta di chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui ai soli casi in cui tali azioni siano alternativamente compiute: 1. con violenza alla persona o minaccia ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331 (nuovo art. 635, comma 1); 2. su edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto o cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o immobili compresi nel perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose indicate nel numero 7) dell'art. 625 (nuovo art. 635, comma 2, n. 1); 3. sulle opere destinate all'irrigazione (nuovo art. 635, comma 2, n. 2); 4. piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o boschi, selve o foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento (nuovo art. 635, comma 2, n. 3); 5. sulle attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive (nuovo art. 635, comma 2, n. 4). Nei casi non ricadenti nelle previsioni sopra citate, corrispondenti al previgente art. 635, comma 1 c.p., gli articoli 3 e 4, n. 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, stabiliscono ora che «soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila chi, distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui fuori dai casi previsti dall'art. 635 del Codice penale»: L'art. 639, comma 1 c.p. e' invece rimasto invariato. Esso infatti continua a prevedere che e' punito in sede penale colui che deturpa o imbratta una cosa mobile altrui, sebbene chi la distrugga o la disperda o la renda inservibile risponda esclusivamente in sede civile. Piu' in particolare, il quadro normativo vigente puo' essere cosi' riassunto: 1. chi, senza esercitare violenza alla persona o minaccia e se il fatto non e' commesso in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331, danneggia cose mobili o immobili altrui soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila (articoli 3 e 4 del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7); 2. chi, esercitando violenza o minaccia alla persona ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'art. 331, danneggia cose mobili o immobili altrui e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (art. 635, comma 1 c.p.); 3. chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui e' punito con la multa fino a 103 euro (art. 639, comma 1 c.p.); 4. chi, fuori dai casi previsti dall'art. 635, deturpa o imbratta beni immobili o mezzi di trasporto pubblici o privati, e' punito con la reclusione da uno a sei mesi o con la multa da 300 a 1.000 euro (art. 639, comma 2 c.p.). Per quanto riguarda la distinzione tra i reati previsti dagli articoli 635 e 639 c.p., la giurisprudenza di legittimita' ha chiarito che «il reato di danneggiamento di cui all'art. 635 c.p. si distingue da quello di deturpamento o imbrattamento previsto dall'art. 639 c.p., in quanto il primo produce una modificazione della cosa altrui che ne diminuisce in modo apprezzabile il valore o ne impedisce anche parzialmente l'uso, dando cosi' luogo alla necessita' di un intervento ripristinatorio dell'essenza e della funzionalita' della cosa stessa mentre il secondo produce solo un'alterazione temporanea e superficiale della res aliena, il cui aspetto originario, quale che sia la spesa da affrontare, e' comunque facilmente reintegrabile» (Cass., sez. V, sentenza n. 38574 del 21 maggio 2014. Tale orientamento trova espressa conferma nella clausola di riserva presente nell'art. 639 c.p. («fuori dai casi preveduti dall'art. 635»), da cui si ricava, che il reato di «deturpamento e imbrattamento di cose altrui» e' sussidiario del rispetto a quello di «danneggiamento». Come noto, il principio di sussidiarieta' si fonda su un rapporto gerarchico fra norme che tutelano il medesimo bene giuridico da aggressioni in rapporto di progressione. Una norma e' quindi sussidiaria rispetto ad un'altra, considerata norma principale, quando quest'ultima punisce un grado di offesa piu' elevato allo stesso bene protetto dalla prima. Tenuto conto di tali premesse, e' agevole constatare che gli articoli 639 e 635 c.p., sanzionano aggressioni di intensita' crescente al diritto all'integrita' della cosa nella sua sostanza e nella sua utilizzabilita'. L'art. 635, infatti, e' la norma principale, atteso che reprime condotte che incidono sulla cosa altrui diminuendone in modo apprezzabile il valore o impedendone l'uso, mentre l'art. 639 e' la norma sussidiaria in quanto preserva il medesimo bene giuridico da offese di minore intensita', quali l'alterazione temporanea o superficiale della res il cui aspetto originario e' comunque facilmente reintegrabile. A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, la norma che punisce offese al patrimonio di minore intensita' (vale a dire l'art. 639, comma 1 c.p.) costituisce tuttora reato, mentre la norma che reprime offese al patrimonio di maggiore intensita' (vale a dire gli articoli 3 e 4, n. 1 lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7) costituisce un illecito civile punito con sanzioni di carattere pecuniario. In definitiva, a seguito del citato intervento normativo, una norma sanziona in modo meno grave condotte maggiormente offensive, mentre l'altra, in modo del tutto irragionevole, sanziona piu' gravemente condotte meno offensive del medesimo bene giuridico tutelato dall'ordinamento giuridico. Il contrasto di tale quadro normativo con l'art. 3 della Costituzione sorge allorche' si consideri il principio consolidato della giurisprudenza costituzionale secondo il quale la discrezionalita' di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell'arbitrio, come avviene nel caso di sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (sentenze della Corte costituzionale n. 81 del 2014, n. 68 del 2012, n. 161 del 2009, n. 324 del 2008). E' dunque certamente irragionevole ed arbitraria la decisione di sanzionare piu' severamente le condotte che cagionano un'offesa meno grave (deturpare e imbrattare) rispetto a quelle che pregiudicano il medesimo bene giuridico provocando un nocumento maggiormente significativo (distruggere, disperdere, deteriorare, rendere, in tutto o in parte, inservibile). Alla luce di tali considerazioni, non e' manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 639, comma 1, del codice penale nella parte in cui, sotto la rubrica «Deturpamento e imbrattamento di cose altrui» prevede che «Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui e' punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 103», anziche' la sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila, prevista dall'art. 4, comma 1 del decreto legislativo n. 7/2016 nei confronti di colui che «distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale».